MARVELIT presenta
&
In:
Chi è più forte tra.... ( 1° parte)
Di
Carmelo Mobilia
e Igor Della Libera
Era tutto così perfettamente squallido. Ogni cosa in
quella taverna dei bassifondi era fuori posto nel modo giusto. I tavoli
disposti senza un ordine, una pila di sedie accatastate in un angolo come
fossero in attesa di un falò, i juke box dai
vetri appannati ed incrinati che tormentavano successi degli anni 70 o storpiavano
canzoni che nemmeno gli autori sapevano di aver scritto. Banchi di fumo aleggiavano
nell'aria senza che ci fosse nessuno con le sigarette accese. L'odore di alcool
ad alta gradazione era misto a quello di
sudore di uomini che non vedevano una doccia da settimane. Tutto si mescolava
ai suoni inconfondibili di gente che giocava a carte o fischiava dietro qualche
avvenente cameriera. Echi di vite mai vissute. Quello era un set senza attori e
Headhunter, la signora di Wall Street continuava a chiedersi quando il regista
avrebbe fatto la sua comparsa.
Stava lì con le dita bianco latte che ticchettavano
nervosamente sul tavolo. Gli occhi, dietro le lenti simili a lune nere
nascondevano il suo fastidio. Ogni tanto si spruzzava addosso del profumo per
allontanare quel fumo appiccicoso e quel puzzo
che, per quanto fosse costruito, la nauseava.
Passarono altri due minuti prima che riprendesse in
mano il suo orologio da taschino e guardasse l'ora. Lo rimise nella tasca della
sua eccentrica camicia rossa. Tirò leggermente le bretelle e sistemò la
cravatta bianco nera.
<Maniaca del controllo, tagliatrice di teste, maga
di Wall Street e donna impaziente.>
La voce provenne dalle sue spalle. Non era facile
sorprenderla anche quando non giocava in casa come in quel caso.
<Arcade. Cominciavo a pensare che volessi tirarti
fuori dalla nostra scommessa. Sentì già un prurito alla base del collo?. Dovrei
tagliarti la testa solo per avermi riservato quest'accoglienza da saloon del
far west.>
<Ho trovato del traffico venendo qui.>
Arcade portava il suo classico completo bianco latte
con papillon rosso. Sangue sulla neve definiva quell'accostamento cromatico. I
capelli erano di un rosso intenso e riccioluti
<Pensavo che ti sarebbe piaciuto immergerti un pò
nelle viscere della società. Curo personalmente ogni ambiente selezionando
odori, suoni sapori etc per rendere il tutto perfettamente credibile.>
Headhunter non aveva cambiato espressione, quella
della tigre mai sazia di uomini.
Arcade corresse il tiro.
<Cercherò di farmi perdonare con un servizio degno
della regina dei brokers. Ti trovo in splendida forma. Il tuo colorito
cadaverico non è mai stato così luminoso.>
<Se hai finito con le pagliacciate, dovresti sapere
che per me l'umorismo è un difetto insopportabile, arriviamo al sodo.
<Prima di parlare di affari vorrei offrirti
qualcosa da bere, purtroppo ho finito la riserva di sangue.>
Headhunter alzò le mani con le unghie laccate di
rosso.
<Lo so che circolano voci sul mio conto sul fatto
che sarei una vampira. Sono tutte infondate. La pelle bianca è dovuta ad una
rara malattia che non mi permette di assorbire i raggi del sole. Pettegolezzi
che non ho certo dissuaso, perché tutto quello che intimidisce fa gioco nel
mondo degli affari.>
Arcade sorrise mostrando trentadue denti lucidissimi.
<Ho dell'ottimo vino, garcon> e schioccò di
nuovo le dita.
I suoni degli avventori fantasma che erano già scemati in un sottile brusio si
interruppero di colpo sostituiti da un rumore
estraneo a quell'ambiente. Si sentirono distinti dei passi metallici e la
direzione verso cui puntavano era il tavolo dei due soci. Headhunter. per
quanto riuscisse a mettere le emozioni in ghiaccio, si stupì vedendo che chi
avanzava con un vassoio e una bottiglia di vino era il Dottor Destino. Il
mantello verde sbatteva contro la sua schiena, il cappuccio copriva un poco la
maschera metallica. L'armatura luccicava come sotto il sole di Latveria. Il
monarca arrivato al tavolo parlò come mai aveva fatto.
<Spero gradirete la scelta di un Sauvignon Collio
del Friuli Venezia Giulia. Colore paglierino. Il profumo ricorda l'ortica,
agrumi e del pomodoro secco.>
Headhunter scoppiò a ridere.
<Divertente Arcade. Devo ammettere che questo posto
ha del personale altolocato. E' uno dei tuoi droidi, quelli che usi nei parchi
divertimento dove ti diletti ad uccidere la gente con flipper giganti e biliardini
esplosivi?>
<Non proprio. Quello che vedi è un Doombot che ho
recuperato grazie al mercato nero cibernetico. Non è uno dei miei robot. Ho
pensato che per una volta sarebbe stato carino essere serviti e non fare i
servi di certi super criminali.>
<Avrei preferito il Teschio Rosso.>
<Un debole per i nazisti sadici?> chiese Arcade
sorseggiando.
<No per il colore rosso, ma credo che queste cose
tu le sappia già.>
<Ammetto di essermi informato sul tuo conto.>
<E io sul tuo. Preliminari finiti, possiamo procedere.>
<Un'ultima cosa, vorrei sapere come fai con i
bisogni fisiologici delle tue “teste”.> virgolettò la parola anche con le
dita.
<Hai degli ottimi informatori. Rimanga tra noi, ma
utilizzo un sistema di raccolta simile alle tute degli astronauti. Ci pensano i
miei broker a ripulire quando la situazione si fa troppo sporca. Non
preoccuparti nel caso raggiungessi gli altri decollati avrò un occhio di
riguardo per il tuo corpo.> (1)
Arcade finì il suo vino per nascondere la
preoccupazione.
<Prima di puntare i tuoi soldi...>
<E la tua testa.>
<E la mia testa più tutto il resto... dobbiamo
decidere la coppia di eroi. Uno deve avere poteri rigenerativi e uno deve
essere invece indistruttibile. Ho pensato ad alcune possibilità.>
<Sentiamo.>
<Madcap e Titano.>
Headhunter rifletté un attimo sull'abbinamento,
poi spiegò le sue perplessità.
<Sono entrambi difficili da catturare, il primo
perché non si sa mai dove sia, non ha un recapito dove trovarlo e l’italiano,
in quanto membro di World Watch, presenta un sacco di problemi, soprattutto
perché dovremmo attirarlo lontano dai suoi compagni mutanti...>
<La palla passa a te, ma prima che ne dici di
qualche stuzzichino.>
<Va bene, basta che eviti la battuta sulla carne
umana.>
Arcade premette il pulsante di un piccolo telecomando
che teneva con se, una parete scomparve e uscirono dei tentacoli metallici. A
seguire il suo proprietario, una versione robotica del Dottor Octopus. Nella
tenaglia di ogni sua appendice un piatto con tartine e altro.
<Il caro vecchio Doc Ock è un ottimo modo per risparmiare sul servizio.>
<Un vero peccato Arcade > lo interruppe
Headhunter < che tu ti vesta così male e abbia quei capelli. Se non fosse
così avrei fatto già un pensiero sulla possibilità di copulare con te>.
<E scommetto che, come una Mantide dopo la copula,
tu abbia l'abitudine di staccare la testa al tuo compagno.>
<Talvolta anche prima, d'altronde per come
concepisco io l'accoppiamento la testa mi basta.>
Arcade sentì come una stretta al collo e dovette
allargare la cravatta dai colori bizzarri.
<Tornando a noi, hai altre coppie o devo proporti
la mia> disse Headhunter prendendo una delle tartine.
<Che ne dici di Sabretooth e il Fenomeno?>
<Ancora meno fattibili dei precedenti e per quanto
potenti siano i nostri mezzi, soprattutto se uniti, non possiamo permetterci uno scontro con il
Fenomeno. In quanto a Victor, non vorrei mettercelo in mezzo ho avuto in
passato dei problemi con lui e preferirei che le nostre strade non si
incrociassero più.>
<La cacciatrice di teste ha paura di vedere la sua
infilata su un palo.> Arcade sbocconcellò dei piccoli tacos mentre il Dottor
Octopus rimaneva fermo con le braccia sospese nell'aria.
<Sentiamo qual è la tua di scelta, qualcosa mi dice
che faremo come proponi tu.>
Headhunter infilò la mano nelle tasche del suo
camiciotto rosso ed estrasse un biglietto, lo passò al suo socio.
<Ne ho discusso con tutte le mie teste, le ho
consultate dalla prima all'ultima e sono arrivata a questa conclusione.>
Ad Arcade bastò sbirciare i nomi per accettare.
<Non ci avevo pensato. Immagino che tu sappia anche
come trascinarli da noi.>
<Esatto.> disse secca Headhunter e prima Arcade
e poi lei scoppiarono in una risata.
Manhattan.
Ufficio di Luke Cage.
Un bravo detective sa sempre distinguere un cliente
che crede di essere in pericolo da uno che lo è veramente.
Luke Cage pensava di essere un bravo detective e non
aveva nessun dubbio sul fascio di nervi in forma di ometto che gli sedeva di
fronte. Era paranoia allo stato puro. Così agitato che le sue dita vibrando
stavano per bucare il borsalino che teneva sulle ginocchia. La stessa sedia su
cui era seduto sembrava un diapason.
<Si calmi e mi racconti tutto dall'inizio.>
disse Cage.
L'uomo si ripresentò e la voce almeno aveva smesso di
tremare.
<Mi chiamo Paul Jenkins e qualcuno vuole uccidermi.
Mi sento seguito da stamattina...> guardò oltre Cage verso la finestra
dell'ufficio che dava su Manhattan.
<Preferirei, se non le dispiace, spostarmi dalla
finestra, potrebbe esserci un cecchino, in questo momento la mia faccia
potrebbe essere dentro un mirino.>
Cage lo tranquillizzò.
<Se io la copro non avrà problemi, forse non lo sa
ma la mia pelle è invulnerabile. Se sta cercando protezione sono la miglior
spiaggia su cui poteva approdare.>
<Basta che non sia l'ultima. Voglio si protezione,
ma anche capire perché qualcuno vorrebbe farmi la pelle. Sono sempre stato una
persona tranquilla, non ho nemici, non ho mai litigato con nessuno.>
Cage scherzò.
<Un vero e proprio santo.>
<Che vorrebbe evitare la fase del martire.> aggiunse l'ometto. Si alzò e si mise contro
la parete lontano dalla finestra.
<Non ha proprio sospetti su chi voglia fargli la
pelle.>
<No, per questo la sto ingaggiando oltre che per
farmi da guardia del corpo.>
Cage si spostò a sua volta dalla scrivania perché
voleva guardarlo in quegli occhi tremuli mentre gli parlava.
<Che lavoro fa mr. Jenkins?>
<Ho un' agenzia immobiliare.>
<Dipendenti con cui potrebbe avere avuto dei
problemi? Aspetti non me lo dica, è sempre andato d'amore e d'accordo con
tutti. Nessun licenziamento, il datore di lavoro perfetto.>
<Esatto e non mi sembra il caso di scherzare su
questo. Perché proprio io?>
<Io la aiuterò però le posso dire fin da ora che
non c'è nessun pericolo...>
Luke rimase più sorpreso di Jenkins quando una pallottola
perforò la parete dove era appoggiato l'ometto. Mentre Jenkins correva ai
ripari sgattaiolando sotto il tavolo, Cage vide il suo muro sforacchiato altre
sei volte. Le pallottole sbatterono contro la sua giacca, lasciando dei fori
anneriti. La sua pelle non aveva subito danni. L'unico ferito era il suo
intuito che gli aveva fatto credere di avere per le mani un “non caso”, quello
di un uomo che si immaginava di essere in pericolo e che probabilmente aveva
paura anche della sua ombra.
<Strisci verso di me Jenkins, dobbiamo andarcene da
qui.> disse ancora sconvolto mentre la luce del pianerottolo vicino
penetrava dai fori sul muro.
Jenkins aveva iniziato a muoversi quando il vetro alle
sue spalle esplose. Attraverso i frammenti che ancora stavano cadendo comparve
un tipo vestito di rosso e nero con una maschera che ricordava quella dell'Uomo
Ragno, nelle mani due katane.
<Preferisci la uno o la due, onestamente trovo la
seconda più bilanciata, la punta poi è più affilata quindi in un' eventuale,
molto probabile, anzi sicura perforazione dovrebbe portare ad una morte più
rapida.>
Cage aveva riconosciuto quel sicario. Non si era mai
incontrato con lui, ma ne aveva sentito parlare nella comunità dei super eroi e
soprattutto nei postacci dove bazzicava in cerca di informazioni.
<Deadpool, stai lontano da lui o inizierai una
dieta a base di spade poco piacevole>.
<Già sentita! A dire il vero mi hanno minacciato in
ogni modo, sarei ricco se avessi preso un dollaro per ogni orifizio in più che
hanno cercato di farmi.> fece un mezzo inchino <Non so nemmeno il tuo
nome, mi serve per il mio curriculum.>
<Luke Cage.> disse l'eroe senza rendersi conto
di quanto suonava stupido in quella situazione.
<”L'eroe in vendita”. Se si esclude il fatto che
sei di colore e che sembri il remake del detective Shaft, non siamo così
diversi noi due. Agiamo entrambi per soldi e io ne incasserò parecchi quando
avrò portato la testa di quel vermiciattolo al mio cliente.>
<Perché qualcuno vorrebbe voler morto mr. Jenkins?
Guardalo e, anche se sei un pazzo maniaco, dimmi se ti sembra un tipo
pericoloso?>
<Non sai quanto lo è. Ovviamente stai guadagnando
tempo, mi fai parlare per cercare intanto una soluzione. Sbagli, hai trovato
uno che non si perde in chiacchiere, ci affoga letteralmente. Potrei comunque
stare qui a raccontarti la vera storia di Mr Jenkins senza perdere la
possibilità di fissarlo al pavimento per sempre.>
Quando la sedia lanciata da Cage lo colpì in pieno
scaraventandolo fuori dalla finestra, Deadpool ebbe solo un attimo, prima di
impattare con l'asfalto, per gridare il suo disappunto.
<Cageeee...>
Luke corse alla finestra per vedere giù. Deadpool
sembrava un personaggio dei cartoon. Dall'alto si vedeva la sua sagoma
schiacciata contro la strada. Ovviamente Cage sapeva che la pacchia non sarebbe
durata molto e quando lo vide staccarsi da terra capì che era il momento di
tagliare la corda.
La voce dal basso di Deadpool lo seguì mentre si
discostava dai vetri rotti.
<”Sarah Connor, sto venendo a terminarti”.>
Cage prese Jenkins e si mise a correre verso i piani
alti. Nel corridoio i vicini più coraggiosi erano usciti a vedere cosa sta
succedendo. Non era la prima volta che Cage doveva giustificare una sparatoria
nel palazzo e un inseguimento con probabili danni alla proprietà. Trascinandosi
dietro Jenkins incrociò gli occhi di uno dei vicini che disse.
<Ancora la caffettiera, mister Cage?>
<Si, devo decidermi di aggiustarla. Ora sono di
fretta. Lo so non si corre nei corridoi, ma non lo dica al tipo con due spade
che mi sta inseguendo, è suscettibile su questa cosa.>
Cage non aveva mai visto un uomo entrare così
velocemente in casa. Il rumore di un triplo catenaccio lo accompagnò fino alla
scala che portava al tetto. Mentre correva si chiese per quanto tempo ancora
dovrà rimanere lì; non vedeva l’ora di
tornare nella sua vecchia zona, non appena il suo ufficio verrà ricostruito (2), proprio come ai vecchi tempi,
quando indossava la camicia gialla e la catena come cintura, anche se su una
cosa era sicuro: non sarebbe tornato ad adottare quel look.
La porta di metallo che comunicava con l'esterno si
aprì di colpo spinta da una poderosa pedata di Cage. Jenkins era al suo fianco
e, nonostante quel fisico mingherlino e poco atletico, non mostrava che piccoli
segni di affaticamento come se avessero fatto una corsetta nel Central Park e
non una decina di piani.
Si trovavano sul tetto che guardava sul lato destro
verso uno dei locali terrazza più famosi della zona. Luke lo afferrò per una
mano.
<Salteremo insieme. Il Rooftop Garden è chiuso, ma
a quest'ora dovrebbe già esserci il mio amico Billy, uno dei proprietari che
controlla i conti del giorno prima e inizia a preparare per la sera.
L'importante è che mi presti il suo bolide per schizzare in un luogo dove
Deadpool non ti troverà. Questo mi darà il tempo di pensare a come tirarti
fuori dai guai.>
Cage lo prese in braccio e dopo una breve rincorsa
spiccò un salto dal bordo del tetto del suo palazzo oltre quello coperto da
vasi di gerani del Garden. Atterrò in modo perfetto tra alcuni tavoli
rovesciati.
Jenkins aveva chiuso gli occhi per la paura di vedere
il vuoto che si apriva di sotto. Li riaprì trovandosi tra grandi palme di
plastica e animali marmorei come il giaguaro che indicava con la zampa
l'ingresso al lounge bar. La porta a vetri automatica si aprì e sulla soglia
comparve il proprietario. Camicia di seta aperta sul davanti a mostrare un
ciuffo di pelo sul petto tagliato con cura. Era rossiccio di capelli e pizzetto
e sotto il sole sembrava che la sua testa avesse preso fuoco. Gli occhi
schizzarono un pò in fuori nello scoprire chi stava facendo tutto quel baccano.
<Luke Cage....
solo la tua faccia potrebbe rovinare il momento più bello della mia
giornata.> tra le dita aveva mazzette di dollari.
<Billy, mi servono le chiavi della Jaguar.>
<Chi è il tipo con te? Sembri uno che ha il diavolo
alle calcagna.>
<Ci hai azzeccato. Le chiavi?> allungò una mano.
<Ho fatto bene a rinnovare l'assicurazione
mettendoci anche i danni causati dai super eroi!>
Cage afferrò le chiavi al volo e poi, trascinandosi
dietro Jenkins, si buttò nell'ascensore privato che portava direttamente al
garage. Nel momento in cui le porte metalliche si chiusero, Billy sentì un altro tonfo sul tetto. Si girò inorridendo di fronte alla testa del suo giaguaro di marmo che rotolava
dalla statua dell'animale.
Deadpool la accarezzava. Le katane erano incrociate
dietro la schiena e spuntavano solo i manici. Nell'altra mano teneva un menù
del locale.
<Se non dovessi già uccidere qualcuno penso che ti
metterei nella mia lista. Un appletini, dico un appletini che non si sa nemmeno
bene cosa sia lo metti a 15 dollari... e non dirmi che c'è la vista sulla
città. Passiamo alle cose serie...> l'occhio continuò a scendere sul menù
<cosa vedo... una serie di bruschette a 20 dollari.
Billy era paralizzato, non riusciva a dire nulla. Se
avesse potuto avrebbe anche trattenuto il respiro.
Deadpool lo incalzò avvicinandosi minaccioso.
<Ok dov'è è andato Cage? Volevi l'argomento a
piacere?>
Billy riuscì ad alzare la mano e a stendere l'indice
verso l'ascensore e una volta che
Deadpool vi scomparve dentro si precipitò dietro il bancone in cerca del liquore più forte che avesse.
La sbarra del garage stava finendo di sollevarsi
quando la jaguar sfrecciò lungo la rampa e, dopo un salto sul limitatore di
velocità, si infilò nel traffico di Manhattan.
Jenkins cercò subito la cintura di sicurezza. Cage
scese di una marcia e affiancò due taxi vicino ad un semaforo. L'occhio era
incollato allo specchietto. Non era tipo da inseguimenti, ma quella era la
soluzione migliore per togliere Jenkins dalla griglia. Il verde liberò la
Jaguar che superò le altre macchine. Il motore rullava senza fare rumore ed era
come se quella macchina verde dollaro non toccasse l'asfalto.
<Dove stiamo andando?>
<Conosco delle amiche dove starai al sicuro.>
<Io ho un'altra idea.> disse Jenkins. La voce
aveva un che di spettrale. I suoi occhietti si illuminarono come bottoni
fosforescenti.
Cage li fissò.
<Cosa...> e poi vide il volante che girava,
senza che lui lo avesse voluto e la macchina deviare su una strada laterale.
<Stiamo andando a Coney Island.>
<Ho l'impressione di essere stato fregato.>
<Non ancora.> rispose Jenkins prima di alzare un
braccio e mostrare il palmo della mano.
<Aveva ragione quel pazzo mercenario, non sei un
semplice agente immobiliare! Ma se pensi di farmi fesso...>
<La macchina è sotto il mio controllo e adesso lo
sarai anche tu. Non ti ho ingannato del tutto Cage. Sono un agente solo che non
mi occupo di case.>
Cage stava per afferrargli la mano, ma la macchina
sbandò sbilanciandolo e sotto i suoi occhi stupiti il palmo di Jenkins si aprì
e uscì fuori una canna di pistola. Sparò un gas verdastro. Cage aveva dei
polmoni più robusti di un essere umano, ma quella sostanza ebbe la meglio anche
su di lui. Si addormentò sul sedile mentre Jenkins faceva
rientrare la sua arma.
Sbatteva le palpebre e ad ogni colpo gli occhi
luccicavano ad intermittenza come monete sotto il sole. La macchina seguiva
quegli input. Uscì fuori dal traffico per prendere il ponte in direzione di
Coney Island.
<Adesso non mi resta che dare il tempo a Deadpool
di raggiungerci.> disse tra se.
Deadpool intanto malediva la sorte che aveva la poco
simpatica propensione a prendersela con lui. Non poteva essere altrimenti visto
che, mentre altri avevano ottenuto dal siero del super soldato forza,
mascelloni squadrati e pettorali su cui ogni donna si sarebbe sdraiata
volentieri, lui aveva ricavato solo una faccia simile ad un toast.
Pensava a tutto questo mentre faticava ad entrare in
una volkswagen rosso fuoco che sembrava una
coccinella su ruote.
<Se la mia vita fosse come in “Sliding Doors” prenderei sempre le porte in faccia. Ho steso quel
tipo> lo guardò appoggiato ad un pilone del garage mentre sbatteva furioso
la portiera <sperando che avesse una macchina cazzuta. E invece eccomi qui
con il maggiolino poco matto ad inseguire Cage che chissà dove sarà finito a
quest'ora.>
Il mercenario iniziò ad accanirsi sul clacson sperando
che magicamente le macchine intorno a lui sparissero. Niente da fare.
<Dovrò trovare un altro modo per...> mentre
tutte le sue voci interiori pensavano la stessa cosa, ecco che il suo cellulare
iniziò a squillare. Prima di rispondere fece la faccia di uno che stava
guardando in una telecamera invisibile, ma sempre presente vicino a lui. Puntò
il dito all'obiettivo che non c'era e disse.
<Voi li fuori ricordatevi non rispondete mai al
telefonino mentre guidate! Fatelo solo se avete un fattore di guarigione.>
Finalmente rispose non credendo alle sue orecchie.
<Non so se essere arrabbiato con voi che non vi
fidate di me o essere contento che abbiate rintracciato Cage e Jenkins. Dov'è?
Davvero a Coney Island? Pensano di nascondersi nell'area dismessa di Dreamland, come stereotipo non è
niente male... lo so che sto parlando da solo e che avete già attaccato.
Dannazione la gente non è più in grado di comunicare con il suo prossimo...
aspetta che lo scrivo sulla bacheca nella mia pagina Facebook!>
Il cielo sopra Coney Island era sgombro da nuvole, ma
grigio dei fumi delle vicine industrie. Era
difficile immaginare che un tempo, agli inizi del 1900, quel paesaggio fosse
attraversato dai binari contorti e incredibili di spericolate montagne russe o
che in un angolo, ora occupato solo da macerie e calcinacci sorgesse un vero e
proprio grattacielo che portava tra le nuvole la scritta colorata “Dreamland”.
Era uno dei primi parco giochi della città e il suo
sogno fu intenso ma breve bruciando all'alba di un giorno di novembre del 1911.
Nessuno chiarì mai le cause dell'incendio e la cenere coprì con il suo manto
nero la gioia dei bambini e i segreti degli adulti. Circolavano storie su
Dreamland ma rimasero tali, cancellate dalle fiamme prima che si scoprisse la
verità.
Deadpool si trovava sotto il grande cancello, una delle
poche vestigia rimaste. L'altra era lo scheletro triste di una casa dove un
tempo venivano esposti i freak, quando il divertimento si mescolava ancora con
il bizzarro e l'orrido.
Deadpool si accorse della Jaguar parcheggiata poco più
avanti, sotto la carcassa della ruota panoramica. Andò verso la macchina
trovando sul sedile la giacca in pelle di Cage.
<Il mio cliente aveva ragione, sono qui. Non mi
resta che andarli a prendere nell'unico posto dove possono essersi rifugiati,
l'unico ancora in piedi. Cavolo mi faccio paura da solo quando ho questi
pensieri cosi seri e professionali.>
Si avviò verso l'edificio. La porta mostrava ancora il segno dei denti di fuoco.
Estrasse le sue pistole ed entrò nel ventre annerito.
Calpestò un cartello in terra. Lesse a stento cosa c'era scritto.
<Incubatorio. Che razza di nome per
un'attrazione.>
Non fece in tempo a dire altro che il terreno sparì
sotto di lui. Una botola lo inghiottì facendolo sparire nel buio.
Continua...
LE NOTE
Il titolo della
storia è ovviamente ispirata a quegli interrogativi su quale eroe sia il più
forte, su chi tra Hulk e la Cosa ne uscirebbe
con le ossa intatte, che popolavano un tempo le pagine della posta, soprattutto
nel periodo Corno e che adesso si trovano sulle bacheche di vari gruppi
Facebook.
(1) = Headhunter
nonostante il suo nome minaccioso, non ha mai tagliato una testa. Nemica di
Namor nella serie di Byrne, la predatrice di Wall Street ha sempre fatto
credere di rimuovere le teste dei concorrenti mentre in realtà li tiene in animazione
sospesa, lasciando attive solo le funzioni cerebrali. Le teste che occupano la
parete del suo ufficio sono ancora attaccate ai corpi e funzionano da
consulenti per la nostra criminale che tra le altre cose è amante del colore
rosso e dei rasoi affilati. Attualmente è ricercata.
(2) = L’ufficio
di Luke è stato distrutto da una bomba
in Marvel Knights #36 ed è stato ricostruito nel primo numero della miniserie “Luke Cage”, pubblicata questo mese.
Questa storia ovviamente avviene nel lasso di tempo occorso per la
ricostruzione.